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  • Immagine del redattoreMattia Facci

ll difficile mestiere dell'allenatore



Sei il punto di riferimento più importante per i tuoi ragazzi. Per questo ti lascio qualche suggerimento per aiutarli a crescere e sviluppare al meglio le loro competenze.


Se facessero sempre davvero tesoro di tutti i consigli e le indicazioni che gli fornisci ogni giorno, oggi avresti solo campioni olimpici!


Purtroppo però nella maggior parte dei casi non è cosi.


Quante parole gettate al vento? Infinite parole, ripetute e ascoltate forse solo dagli acari della polvere che gravitano numerosi in palestra, ma non dal diretto interessato. Oltre al danno poi la beffa, perché più ti spremerai e parlerai per dirgli come migliorare, più lui inizierà a sbadigliare e lo farà con noncuranza davanti a te, ti guarderà con gli occhi un po’ lucidi post sbadiglio e ti dirà le fatidiche parole: “ho capito”. Magari lo farà anche un po’ scocciato e ti farà capire che sei stato noioso, esagerato, impertinente. “Come ti permetti di dire A ME cosa devo fare?”.


Tu nel frattempo ti starai guardando intorno, per cercare un muro o qualsiasi superficie ove sbattere con prepotenza la sua testaccia dura, sperando, disilluso, che un riavvio veloce e drastico del sistema nervoso centrale lo aiuti a ragionare meglio.

Ti fermerai, lo inviterai a “riprovare” seguendo i tuoi consigli e…lui molto probabilmente non li metterà in pratica, ma ti dirà: “ci ho provato, ma non ci riesco”.



Sebbene abbia dipinto un quadro a tinte forse un po’ “forti”, posso affermare con certezza che spesso si crea un divario importante tra quanto detto (allenatore) e quanto viene recepito (atleta), causando quindi incomprensioni ed escalation che portano a vere e proprie discussioni senza fine o non risolutive.


“Sono il tuo allenatore, sono qui per aiutarti e e sei in difficoltà e ti dico come uscirne, per quale motivo non mi ascolti?”


Proviamo a capire il perché.


Se fa sport, tendenzialmente è perché l’ha scelto e lo pratica volentieri. Riconosce la necessità di una guida e il bisogno di indicazioni per migliorare, ma è immaturo.


Vive di emozioni, di aspettative esagerate, impara presto a giudicarsi e a pretendere che le cose debbano andare sempre bene.


Di fronte alle difficoltà, agli errori o ai fallimenti, le reazioni più naturali sono delusione, colpevolizzazione (spesso di se stesso) e frustrazione.


E’ raro che un atleta abbia la lucidità di osservare i fatti e chiedersi in modo onesto: “cos’è successo, cosa mi sono perso per strada?”.


E’ raro che si chieda: “ok, ho sbagliato, qual è il PIANO B?”.

Diventa una questione personale.


“Ho sbagliato” diventa: “sono un disastro”.


Cosi si complica tutto, perché più l’atleta alimenta emozioni e vissuti negativi, più questi crescono e lo condizionano sempre di più.

E’ come se indossasse delle lenti a contatto scure. Risultato? Il mondo risulta sempre in ombra. Anche quando c’è il sole.


“Non ce la farò mai”

“Gli altri sono più bravi di me”

“Non sarebbe dovuto succedere”

“Gli altri penseranno che sono un incapace”


Più ragiona così, più aumenta il disagio e la sensazione di incapacità o la paura di affrontare le difficoltà.


La naturale conseguenza di ciò è la rinuncia.

Evita di affrontare le difficoltà, di capire cosa succede, di analizzare onestamente i suoi limiti e le risorse di cui dispone.

Quando va ad allenamento con questa mentalità, fondamentalmente non si allena e se può, cerca di fare solo ciò che gli viene bene.


Fa lo struzzo.

Non potrà però tenere la testa sotto troppo a lungo e quando sarà costretto a tirarla fuori, le difficoltà saranno maggiori.

Quello che non affronta oggi, se lo ritrova domani. Invitabile.

Vale per tutti.


Capisci bene che con tutti questi processi che si attivano alla velocità della luce in modo tra l’altro ormai automatico, la vedo dura che il tuo atleta sia subito pronto ad ascoltarti ed eseguire le tue indicazioni, quando ne ha bisogno.

Per ascoltarti, deve prima rimuovere l’assordante e caotico concerto di voci interiori e il maremoto di emozioni che lo stordiscono e lo rendono sordo.



Come aiutarlo?


Iniziamo a ragionare seguendo queste premesse (ovvie, in teoria e….solo in teoria):


1. “sbagliare è inevitabile. Allenarsi significa sbagliare e risolvere problemi in continuazione;


2. “se sbagli, un motivo c’è. Sempre. Anche se non lo vedi”;


3. “se ti focalizzi solo su ciò che non riesci a fare e sull’errore, non lo correggerai mai”;


4. “gli altri potranno dirti qualsiasi cosa, ma se tu non sei disponibile ad ascoltare, sarà totalmente inutile”;


5. “l’unica persona che può dimostrare a se stessa cos’è in grado di fare, sei tu. Gli altri possono dire che sei buono, bravo, bello, ma non ci crederai mai se non sarai tu a dimostrarlo a te stesso”;


6. “se gli altri ti risolvono un problema, tu crederai di non essere in grado di farcela da solo;


7. “l’unico che può dimostrare a se stesso quanto vale, sei tu, nessun altro”;


8. “che tu lo voglia o meno, in ogni momento stai prendendo una decisione (anche se decidi di non decidere, hai deciso in ogni caso) che avrà delle conseguenze (positive o negative, dipende da te);


9. “per quanto sia circondato da persone, sei comunque solo. La responsabilità di quello che fai o non fai, nella maggior parte dei casi, è solo tua”.


Quando dico che queste affermazioni sono “banali e scontate”, è perché la teoria la conosciamo tutti. In pratica invece spesso l’atleta ha dentro di sè principi assolutamente irragionevoli, irrealizzabili, che vanno contro la natura stessa delle cose e agisce (o meglio reagisce) di conseguenza. Con risultati disastrosi.



Guardiamo punto per punto come ragiona.



1. Sbagliare è inevitabile. Allenarsi significa sbagliare e risolvere problemi in continuazione.


Io non sbaglio. Non voglio/posso sbagliare. Sbagliare per me non è concepibile”.

Io devo fare sempre tutto bene e tutto giusto, perché se sbaglio allora IO FACCIO SCHIFO, SONO UN INCAPACE, ECC…”.



POSSIBILI OBIEZIONI:


Io: “C’è mai stato nella storia dell’uomo, qualcuno su questa terra che non ha mai sbagliato? “


Di solito quando faccio questa domanda, sorridono, come dire:


“Cretino che sei, ovvio che non sia possibile trovare qualcuno che faccia sempre tutto giusto”.


Io rispondo con un’altra domanda:


“Com’è allora possibile che quando guardi gli altri sbagliare, la consideri una cosa normale e non ti preoccupi più di tanto, ma quando capita a te, “apriti cielo”, succede un disastro?

Chi sei tu? Dio Onnipotente, colui il quale fa sempre tutto giusto, al momento giusto?”




2. Se sbagli, un motivo c’è. Sempre. Anche se non lo vedi.


Allenatore: “Cos’è successo? Me lo sai spiegare?”

Atleta: “Io non lo so”.


Gli atleti non sanno mai niente. Le cose… “capitano”!


Il “non lo so” si può tradurre con più o meno così: “non sopporto che le cose siano andate male, sto già male e voglio solo che non succeda più, anche perché mi darebbe parecchio fastidio vedere che fondamentalmente ho fatto io qualche cazzata o non mi sono preparato in modo adeguato”.

Il che significherebbe poi dover affrontare ulteriori limiti e dedicare energie per rinforzare le mie debolezze. Troppa fatica.




3. Se ti focalizzi solo su ciò che non riesci a fare e sull’errore, non lo correggerai mai.


Atleta: “Ma io ce la metto tutta! Mi impegno e mi alleno tutti i giorni, e voglio fare bene. Non accetto di aver sbagliato. Non con tutta la fatica che faccio”.


Io: “Mi spiace se sono crudele con te, ma se questo è il risultato, evidentemente ciò che fai non basta e non funziona. Forse dovresti capire meglio cosa significa - mettercela davvero tutta-, perché probabilmente non lo fai”.


Atleta: “Come non lo faccio? Non basta fare allenamento tutti i giorni? Guarda che io ci tengo tanto!”.


Io: “Non basta l’impegno fisico. Hai visto che la tecnica non basta. La preparazione fisica non basta. Perché se bastassero, non saremmo qui a parlarne.

In che modo alleni ogni giorno la fiducia in te stesso? In che modo cerchi, nell’allenamento, i segnali che ti fanno sentire forte, capace di affrontare la competizione a testa alta, divertendoti e con la giusta determinazione?

Hai mai pensato che se ti impegni ma non costruisci fiducia, la tensione e l’insicurezza aumentano vertiginosamente?


Focalizzarsi sulle soluzioni è difficile. Richiede maturità e capacità di accettare i tuoi limiti.

Non puoi cambiare se ti lamenti solo di quello che non hai. Per ottenere un risultato diverso, devi PER FORZA DI COSE FARE AFFIDAMENTO SU QUELLO CHE SAI FARE, anche se per te non è sufficiente o adeguato.

Non hai alternative e ti invito a dimostrarmi il contrario di quello che ti dico.

Sfrutta quello che hai e prenditi cura di te, migliorando con pazienza e perseveranza. Perché se ti lamenti solamente di ciò che non hai, le cose peggioreranno. Garantito”.




4. Gli altri potranno dirti qualsiasi cosa, ma se tu non sei disponibile ad ascoltare, sarà totalmente inutile.



Ti suggerisco di osservare se il tuo atleta è disponibile ad ascoltarti (veramente). Prova a parlarci, insisti un pochino se lo reputi giusto. Ma non insistere se dall’altra parte senti chiusura e rifiuto. Evita di arrabbiarti e rimanda a lui le sue responsabilità.



Allenatore (vs atleta):


- “Ci stai male e lo capisco, ma se non ne parliamo, come facciamo a correggere il tiro?”

- “Vedo che non è possibile confrontarmi con te perché fumi dalle orecchie e dal naso peggio di un toro. Io non posso risolvere le cose al posto tuo, se potessi lo farei, ma non posso. E per aiutarti ho bisogno di te. Quindi sbollisci la rabbia, se vuoi piangere, fallo quanto vuoi.

Puoi disperarti, rotolare per terra, gridare e strapparti capelli e vestiti, fai quello che vuoi (l’unica cosa per favore non qui che sto allenando i tuoi compagni e si distrarrebbero perché vogliono lavorare). Quando sarai pronto per fare due chiacchiere, potrai venire da me. Io non ti dirò per ora nient’altro".




5. L’unica persona che può dimostrare a se stessa cos’è in grado di fare, sei tu.

Gli altri possono dire che sei buono, bravo, bello, ma non ci crederai mai se non sarai tu a dimostrarlo a te stesso.


Credere in se stessi e costruire forza interiore e fiducia è difficile, perché significa:


riconoscere di avere dei limiti;


accettarli;


se si accettano, resta solo la possibilità di “farsi il culo” e con pazienza, provare (e riprovare, e riprovare, e riprovare…) a superarli. Passo dopo passo.




6. Se gli altri ti risolvono un problema, tu crederai di non essere in grado di farcela da solo.


Non dare soluzioni al tuo atleta, se vedi che non ti segue. Sprechi energie inutili. Piuttosto che dirgli cosa fare, ponigli delle domande e fallo ragionare, stimolalo affinchè sia lui a dare delle risposte e soluzioni da attuare.

Se parti in quarta con le correzioni e pretendi che faccia esattamente quello che vuoi tu, quando vuoi tu, lo indebolisci.

Deve mettere alla prova quello che gli dici, valutare come applicarlo in relazione a se stesso, le sue idee, dubbi e paure.

Ricorda, “chi si convince da solo, si convince prima e meglio” (Watzlawick P.).




7. L’unico che può dimostrare a se stesso quanto vale, sei tu, nessun altro.


L’esperienza concreta è l’unico fattore che conta. L’unico dato oggettivo, inequivocabile che possa dimostrare all’atleta cos’è in grado di fare o meno. Nessuna parola avrà lo stesso potere del proprio vissuto personale.


Heinz von Foerster diceva: “Se vuoi vedere, impara ad agire”.


Noi conosciamo attraverso l’interazione con il nostro ambiente, con gli altri.

Sapere cosa fare non significa essere in grado di farlo.

Basarsi sull’opinione altrui può aiutare, ma non è determinante quanto agire in prima persona per raggiungere l’obiettivo.




8. Che tu lo voglia o meno, in ogni momento stai prendendo una decisione (anche se decidi di non decidere, hai deciso in ogni caso) che avrà delle conseguenze (positive o negative, dipende da te).


In altri termini, stiamo parlando di responsabilità e di autonomia.

Insegna al tuo atleta come porsi le giuste domande.

Guidalo affinché sia lui a scoprire le risposte e a decidere che scelte fare (e ad avere quindi le risorse per tollerarne le conseguenze). Insegnagli che non sei tu a decidere, ma che le decisioni le deve prendere lui e mettilo nelle condizioni di vivere queste esperienze.

Crescerà forte e maturerà in fretta.




9. Per quanto sia circondato da persone, sei comunque solo. La responsabilità di quello che fai o non fai, nella maggior parte dei casi, è solo tua.


Il nono punto riassume in modo abbastanza evidente i contenuti già trattati nei punti precedenti.

Mi preme sottolineare questo: all’apparenza, essere soli spaventa e può sembrare brutto.

In realtà non è così.

Riuscire ad affrontare e superare con le proprie forze una sfida, è meraviglioso ed impagabile.

L’esperienza vissuta rappresenta il “boost”, l’importante slancio che permetterà al tuo atleta di costruire fiducia e aumentare la stima di sé, oltre al desiderio di porsi nuovi obiettivi e raggiungere nuovi traguardi.



Come si suol dire, “la fame vien mangiando!”.



Buon lavoro!


Mattia


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